Ho 76 anni e vivo a Balbido, il paese dei murales. Al casot dell’Efrem, come qui in paese chiamano il mio piccolo laboratorio da arrotino, c’è il murales che mi hanno dedicato. Non perché sia importante o famoso, anche se mi conoscevano in molte città.
Sono stato un moleta giramondo, un po’ come le rondini del murales.
Migravo, viaggiavo e poi tornavo. A 18 anni ho lasciato il paese per fare l’arrotino ambulante a Firenze, in sella alla mia bicicletta. La chiamavamo slaifera nel gergo Taròn, la parlata usata tra noi arrotini. Sulla canna aveva una scatola metallica con dentro la mola. Massimo venticinque chilometri al giorno. Poi fermi a pedalare per affilare. Qualche anno dopo, per fortuna, è arrivata la giardinetta. Sul retro era montata la mola, azionata dal motore a scoppio. Tutta un’altra vita. Nelle città si arrivava prima e riposati. Con i risparmi dei primi anni di fatica, insieme a mio fratello anche lui arrotino, abbiamo aperto una bottega di affilatura a Bologna. Mio fratello vive ancora li. La bottega poi è stata venduta e mi sono trasferito a Milano. Qui c’era mia sorella Flora. Anche lei aveva lasciato Balbido per cercare lavoro in città. Faceva la domestica, ma soprattutto accudiva i figli delle famiglie benestanti.
A Milano ho fatto il tranviere per 23 anni, senza mai smettere di fare l’arrotino nei mercati. Una vita di lavoro. Nel 1996 sono tornato a casa, qualche anno dopo è tornata anche mia sorella. I nostri cuori non hanno mai lasciato Balbido. Ora mi godo la vita e continuo a fare, a passatempo, il moleta. Nel mio piccolo casot ci sono ancora gli strumenti di una vita di lavoro. Tutti ancora funzionanti. La mola di smeriglio per affilatura, che fa 700 giri al minuto. La pulitrice per togliere i graffi. La pietra per togliere il filo morto. Fare il moleta è un’arte